L’indignazione, questa sconosciuta
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Un evidente esempio di inciviltà: un auto che procede in senso contrario in pieno centro storico

Un evidente esempio di inciviltà: un auto che procede in senso contrario in pieno centro storico

Test per scoprire la capacità dei nostri concittadini di indignarsi, mobilitarsi e intervenire dinanzi a episodi di triste inciviltà e di sconfortante ignoranza.

A volte penso che questo paese chiuda troppo spesso “un occhio” dinanzi a episodi, situazioni, vicende che dovrebbero invece suscitare profonda e ributtante indignazione. Alla fine penso però, facendo dei calcoli approssimativi, che, chiudine uno oggi, chiudine un altro domani (il discorso vale per esseri bioculari, altri casi risulterebbero alquanto avulsi dal contesto terrestre), si finisca per non accorgersi più di quanto stiamo perdendo la capacità di stupirci, sgomentarci e, per l’appunto, indignarci.

L’indignazione, a mio avviso, è quel “sentire” che, qualora avvertito, ci dà o meno l’idea di essere cittadini ancora attaccati emotivamente e affettivamente al territorio di appartenenza (o a quello di adozione, quello in cui si vive o si lavora insomma). Una volta non più avvertito abbiamo il chiaro indice di non esserne più affezionati, di non curarcene più di tanto, di non interessarci delle sue vicende. L’indignazione oggi è un sentimento riservato a una stretta élite di gente che, mossa da una qualche dinamica emozionale, culturale direi, si occupa e si preoccupa del proprio territorio nell’ambito, sia chiaro, di quella che viene comunemente definita “società civile” e non in quello dei meandri (talvolta avvilenti, sigh!) della politica locale.

Vari sono gli esempi di prova che potremmo effettuare, per testare il nostro grado di indignazione.

Come reagiamo se dinanzi a noi, che ne so?, su Corso Umberto, su via Aldo Moro, su via Piave, in via Camere del Capitolo, in via Fragata, su via Mauro Giuliani, troviamo seconde file a destra o sinistra della strada, tutte autovetture regolarmente con quattro frecce lampeggianti, che ci obbligano a fare lo slalom sperando di non uscirne (se se ne esce) ammaccati o incidentati?

Come reagiamo se nell’auto davanti alla nostra il conducente o il passeggero apre il finestrino e lancia il suo fazzoletto comprensivo di suoi ricordi organici o delle sue gomme da masticare o un pacchetto di patatine?

Come reagiamo assistendo all’episodio del tipo che fa comodamente fare al suo cagnolino, spesso esile ma, come dire, dalle capacità intestinali senza eguali, i suoi bisogni sul marciapiede? Come reagiamo se troviamo un teppistello che sputa in terra, graffita pareti di chiese e palazzi, prende a calci la segnaletica o i lampioni?

Bene, tre reazioni sono contemplate in questa verifica:

1) Interrompo di fare ciò che stavo facendo, vado verso il protagonista dello sconfortante episodio (che può essere anche un vigile urbano che non compie a dovere il suo lavoro di garante dell’ordine pubblico!) e gliene dico quattro per fargli capire che è un irriverente e che sta offendendo la città e chi la vive… . (Sfido chiunque a dire: “Rientro in questa categoria!”…).

2) Mi avvilisco un pò e penso che ne parlerò con qualche addetto ai lavori, non so, passerò dal Comune, ne parlerò con qualche assessore, qualcosa ai giornali la riferirò, però ora fammi scappare ché ho fretta…! (E già penso che in questa cerchia siamo in tanti…!).

3) Perché? È successo qualcosa? E vabbé, qualcuno passerà a ripulire (nel caso dei cani e del fazzoletto)! Oppure: e vabbé, un po’ di manovre e ci passo (nel caso delle seconde file)!

Ecco, chi sente di rientrare in quest’ultima categoria non conosce affatto nemmeno il significato della parola indignazione.

Chi rientra nella seconda categoria ne conosce il significato ma ne avverte poco il senso emotivo del termine.

Chi rientra nella prima categoria, vabbé, che centra? Quelli sono utopisti e, forse, nemmeno biscegliesi.

Io, per esempio, se può interessare, rientro in una quarta categoria: quelli che avvertono così elevato il senso di indignazione da restarne impotenti, scorati, avviliti all’ennesima potenza, coscienti del fatto che non sarà un’indignazione a salvare questo paese e nemmeno un insieme di indignazioni ma, probabilmente, un fiabesco attivismo, un rimboccarsi le maniche e mettersi a cambiare le cose, un insistere autonomamente senza bussare ad alcuna porta che resterà inevitabilmente chiusa (tranne se si è in campagna elettorale). Ma, a volte poi uno giustamente pensa: ma perché? Riesco a indignarmi, vorrei cambiare le cose in meglio, vorrei svegliare le menti morte (e come direbbe quel comico barese “Ston, ston, nge ne ston assé!”), potrei mobilitarmi per migliorare qualche situazione… poi, quando si sta lì lì per attivarsi, ci piomba in mente un’altra domanda: ma poi, questo paese, la mia indignazione, la merita davvero?

(Francesco Brescia)


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