In concomitanza con la cerimonia di conferimento della Cittadinanza onoraria di Bisceglie a Vincenzo Calace, ospitiamo una nota del Dott. Mario Schiralli, Giornalista e Storico
La città di Bisceglie si appresta a celebrare, domenica 29 novembre, nel cinquantenario della morte, l’ing. Vincenzo Calace, ardente mazziniano e seguace di Salvemini. Antifascista condivise la lotta con Ferruccio Parri, Ernesto Rossi, Riccardo Bauer e Sandro Pertini.
Calace fu tra i membri più attivi del movimento antifascista Giustizia e Libertà che si proponeva, tra l’altro, l’eliminazione di Mussolini e degli altri capi del Regime.
A Calace, nato a Trani, ma vissuto prevalentemente a Bisceglie, al quale illustri storici hanno dedicato fiumi di parole, già nel 1980, il Presidente della Repubblica Sandro Pertini, suo compagno di lotta (con lui aveva condiviso anche il carcere fascista), venne a Bisceglie per scoprire un busto in suo onore.
Ora, in occasione del 50° anniversario della scomparsa, la sede di Bisceglie dell’Associazione Mazziniana Italiana, con il patrocinio dei Comuni di Bisceglie e di Trani, quest’ultima città natale di Calace, presenterà la Raccolta di lettere dal carcere e dal confino (1930-1943) curata dal nipote, il dott. Felice Pellegrini Calace, già autore del bel volume “Testimone di libertà – per una biografia di Vincenzo Calace”, pubblicato nel 1994, che fu presentato dal prof. Mario Spagnoletti.
In occasione della prossima celebrazione, riandando con la mente agli studi per la mia tesi di laurea “Un filone dell’antifascismo pugliese: l’archivio di Nicola Pàstina”, tra i vari episodi che videro Calace, i fratelli Pàstina e altri pugliesi primi attori nella lotta al fascismo, va ricordato quello, emblematico , che segnò il ripristino della libertà di stampa e di pensiero, proprio grazie a Vincenzo Calace, Domenico Pàstina, arrestato per sbaglio al posto del fratello Nicola, e Franco Petrarota, tipografo.
La sera del 21 ottobre 1943, il Ministro della Real Casa, Duca Acquarone, si insediò a Bari, provenendo da Brindisi, nella Regia Questura per organizzare un’importante operazione poliziesca. Doveva arrestare tre dirigenti del Partito d’Azione. Appunto Vincenzo Calace (da pochi giorni aveva riottenuto la libertà dopo i lunghi anni di carcere e di confino a Ventotene), Domenico Pàstina (in verità il destinatario del mandato di arresto avrebbe dovuto essere suo fratello Nicola, direttore e redattore nella Capitale, con lo pseudonimo di Old Nic, di vari giornali satirici antifascisti come “Il Grillo parlante” e “Il becco giallo”), e Franco Petrarota, a quel tempo titolare della tipografia Vecchi di Trani che aveva stampato i primissimi articoli di Benedetto Croce e tutti i fascicoli de “La Critica”.
I tre “azionisti”, compilatori di un numero clandestino de “L’Italia Libera –edizione meridionale” erano “imputati” non solo di aver contravvenuto alle disposizioni allora vigenti sulla stampa, ma anche di “offese al capo del Governo ed istigazione alla rivolta contro lo Stato”.
Quella edizione de L’Italia Libera, peraltro, non poteva essere considerata clandestina, anche se non aveva avuto le dovute autorizzazioni, perché era stata venduta pubblicamente e diffusa nelle edicole andando letteralmente a ruba. Anche i nomi dei compilatori erano noti e rintracciarli non fu affatto difficile.
Su quel “foglio” (quattro pagine di piccolo formato) erano riportati articoli di critica e di opposizione al governo Badoglio e alla Monarchia, nonché un trafiletto sullo stesso Acquarone descritto quale un Metternich in 64°”, che mandò su tutte le furie il Ministro che ne fece una questione personale.
L’operazione poliziesca portò quella sera solo all’arresto di Calace e di Petrarota, mentre Domenico Pàstina , al momento irreperibile perchè si trovava a Bari, si consegnò spontaneamente nella notte alle forze di polizia.
C’è da rilevare che l’arresto fu un inqualificabile atto di arbitrio compiuto dalla R. Questura di Brindisi perché eseguito sì in base alla legge fascista che, pur senza essere stata legalmente abrogata, doveva ritenersi ormai moralmente decaduta.
Lo scopo che Vincenzo Calace e Pàstina intendevano raggiungere con quella pubblicazione era di rendere evidente, in maniera clamorosa (non lo avevano deliberatamente provocato, ma si aspettavano ugualmente l’arresto) “il reale spirito antidemocratico di Badoglio e di Vittorio Emanuele, dei generali e dei ministri di corte”.
E bisogna dire che colsero nel segno, perché il loro arresto ebbe grande ripercussione nell’opinione pubblica del “regno del Sud”.
Fatto grave fu considerato soprattutto l’arresto di Vincenzo Calace che, dopo tanti anni trascorsi fra carcere e confino, “nella riconquistata libertà collettiva di quel lembo di territorio nazionale si vedeva ancora una volta privato, per un reato di pensiero, della libertà personale”.
Se per Domenico Pàstina l’arresto ebbe il sapore quasi di una beffa (era sfuggito, anche fortunosamente, tante volte alle retate della polizia fascista), fu invece una vera manna per i dirigenti dei partiti politici ricostituiti i quali, con validissime argomentazioni, reclamarono subito dal Governo e dagli Alleati il rilascio degli arrestati e il ripristino di una delle libertà fondamentali della vita democratica.
Gli Alleati, incalzati dalla pressione dei dirigenti dei partiti e, principalmente dal Conte Carlo Sforza , diplomatico e politico italiano ( dal 1920 al 1921 fu Ministro degli esteri del Regno d’Italia e dal 1947 al 1951 della Repubblica Italiana) , da Alberto Cianca (giornalista, fu deputato all’Assemblea Costituente) e da Alberto Tarchiani, giornalista e diplomatico, fecero pressioni sul governo di Brindisi ottenendo l’annullamento dei capi d’imputazione verso Calace, Pàstina e Petrarota dinanzi al Tribunale Militare competente e la restituzione all’Italia, dopo tanti anni che ne era priva, del diritto di avere una stampa libera.
La detenzione nel carcere durò solo sette giorni. Da allora in poi “tutti i partiti – scrisse Pàstina – che avevano partecipato alla ventennale lotta di opposizione al fascismo ebbero la possibilità di pubblicare, sia pure sotto regime di censura, un proprio organo di informazione e di propaganda”.
E’anche vero, secondo gli storici, che prima o poi la libertà di stampa sarebbe stata ottenuta lo stesso perché il governo Badoglio non avrebbe potuto a lungo tergiversare e continuare a nascondersi dietro la legislazione fascista.
L’episodio, rilevò anni dopo Pàstina “non va sopravalutato, tuttavia appare certo che l’arresto dei tre galantuomini fu l’occasione propizia, la causa determinante, sia pure il pretesto, per accelerare i tempi, consacrare la decadenza della illiberale legislazione fascista sulla stampa che risaliva al 1928, costringendo il Governo di Brindisi ad uno dei primi provvedimenti di riconoscimento del nuovo assetto democratico”.
Mario Schiralli, giornalista e storico